L’isola di San Michele. Il cimitero monumentale di Venezia

Di fronte alle Fondamenta Nove, nel tratto di laguna che separa Venezia da Murano, una cortina di mura a mattoni recinge un’isola cara alla pietà dei veneziani. Si tratta di San Michele, il cimitero monumentale di Venezia.
L’isola non è sempre stata adibita a cimitero. I primi cenni, che sanno tanto di leggenda, la fanno affiorare dalla storia e dall’alterno gioco degli specchi d’acqua della laguna veneta, intorno al X secolo. Lo storico Flaminio Cornaro, nel suo “Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello” (1758), ricorda che l’isola era stata così chiamata, poiché due famiglie muranesi avevano eretto una chiesa, intitolandola all’arcangelo.
Parimenti antica, vi è un’altra antica tradizione. Essa racconta che il ravennate Romualdo di Sant’Apollinare, accompagnato dal proprio maestro spirituale Marino, fossero sbarcati “sopra un paluo apreso Muran”, durante un viaggio compiuto a Venezia. Incolta e quasi del tutto disabitata, il piccolo lembo di terra era conosciuta sotto il nome di “Cavana de Muran”, a causa dei ricoveri ricoperti di paglia, simili a capanne, usati per le imbarcazioni.
In mancanza di fatti certi, i chierici in grado di scrivere poterono abbandonarsi alla loro devota fantasia; ed ecco allora che alla mancanza di precise memorie storiche degli accadimenti di quei giorni passati da Romualdo a Venezia, supplirono le tradizioni devozionali che si proponevano di santificare e di dignificare con la presenza del ravennate uno dei più antichi monasteri della laguna. Secondo queste tradizioni, Romualdo, padre dei monaci Camaldolesi, avrebbe dato vita nell’isola ad una prima esperienza della vita eremitica.
In realtà, il racconto potrebbe nascondere un preciso avvenimento. Nella notte tra il 31 agosto e il 1 settembre del 978, il doge Pietro Orseolo I si trovò a prendere una difficile decisione, che avrebbe evitato una dura guerra contro l’imperatore Ottone II. In tutto silenzio e segretezza lasciò Venezia per ripararsi nel monastero di San Michele di Cuxà nella contea di Confluent sui Pirenei. Tra le poche persone che lo accompagnarono in quella notte, vi era Romualdo, il giovane monaco Romualdo, figlio del duca Sergio degli Onesti di Ravenna, e l’eremita Marino.

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Di fatto, il primo insediamento religioso si ebbe nel 1212. I vescovi di Torcello e San Pietro di Castello fecero loro dono dell’isoletta disabitata, dove il camaldolese Lorenzo, insieme ad alcuni eremiti, diede inizio alla vita eremitica, vivendo in semplici celle. Papa Innocenzo III, il 25 settembre 1213, convalidò l’erezione canonica dell’insediamento; mentre nel 1221, il cardinale Ugolino di Segni consacrò la chiesa gotica a tre navate. Intorno al 1249, il monastero fu riformato dall’antica forma eremitica a vero e proprio cenobio.
Sotto l’abate Maffeo Gerardo, nel 1456, la struttura monastica venne in buona parte ristrutturata e sorse il campanile, in stile gotico veneziano, con qualche reminiscenza bizantina, oggi visibilmente pendente. Inoltre commissionò la realizzazione della statua, che risalta sul portale di accesso al chiostro. Riproduce l’arcangelo Michele intento a trafiggere il drago.
Anni dopo, nel 1468, l’abate Pietro Donà prese la decisione di restaurare la chiesa, dotandola di forme rinascimentali. Si incaricò il bergamasco Mauro Codussi, detto anche il Moro o Moretto, artista di grande ingegno.
La fabbrica per la parte principale durò un decennio. La facciata è tripartita attraverso quattro lesene e continuano la struttura interna a tre navate. Queste, coperte da un soffitto a cassettoni, conducono alla cappella maggiore e a due minori laterali. La maggiore è sormontata da una cupola. Subito dopo l’ingresso, appare un barco, il coro pensile monastico, che attraversa in lungo la chiesa. Percorrendo il barco si osservano delle sculture di epoca barocca, poste all’interno di nicchie, e raffigurano Santa Margherita e San Girolamo. Arrivati alla cappella maggiore, si vedono un altare barocco con tre statue: l’Arcangelo Michele, San Romualdo e San Benedetto. A fianco, nella cappella di sinistra, un altro altare di fattura barocca con un gruppo “San Romualdo portato in gloria da due angeli”.
Nella cappella della Croce si osserva un altare, barocco, con due “Angeli adoranti”, che reggono un tabernacolo vuoto. Esso conteneva una reliquia della Croce, che si ritiene essere appartenuta a Elena e a Costantino, giunta su queste acque e oggi custodita nel museo di Urbino.
Quindi la cappella Emiliani, realizzata su pianta esagonale e coperta da una cupola bianca di pietra d’Istria. Al suo interno vi sono tre altari con altrettante pale marmoree cinquecentesche ad altorilievo raffiguranti l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi e l’Adorazione dei pastori. E così si ebbe l’unico edificio poligonale del rinascimento a Venezia.
Il monastero, con il chiostro più grande, sorse durante il Cinquecento, anch’esso in nobili e sobrie forme.
Non potendo dedicarsi all’opera di bonifica e di messa a coltura di terre paludose, i monaci dell’isola s’indirizzarono agli studi. Nel secolo dell’Umanesimo, questo carattere prese sempre più piede, grazie alle indicazioni degli abati che si succedettero, quali il Traversari e Pietro Delfino. Peraltro, le donazioni e i tanti lasciti, nonché gli introiti diretti, permettevano al monastero una certa agiatezza, tanto che nel 1481 contava una trentina tra sacerdoti, chierici novizi e conversi.
Il monastero fu centro scrittorio, dedicato alla trascrizione dei manoscritti, divenendo un centro di pensiero e di sviluppo culturale di prima importanza. Nei suoi locali, venne realizzata un’opera figurativa tra le più importanti della cartografia veneziana: il mappamondo di Frà Mauro, databile al 1450, che contiene immagini e preziose informazioni sull’Ecumene, prima della scoperta delle Americhe. L’opera, manoscritta su fogli di pergamena e incollati a un supporto ligneo, possiede misure monumentali, dato che raggiunge una circonferenza di quasi due metri di diametro. Attualmente, il planisfero è conservato nella Biblioteca nazionale Marciana.
Nel febbraio 1971gli astronauti Shepad e Mitchell battezzarono una zona della Luna in onore di Frà Mauro.
Il monaco non fu il solo insigne uomo di cultura che San Michele produsse nel corso dei secoli.
Nel 1471, Nicolò Malerbi tradusse la Sacra Scrittura in Volgare e uscì in due volumi presso Vindelino da Spira, che appena tre anni avanti aveva introdotto l’arte tipografica a Venezia.
L’opera di Malerbi ebbe una grande fortuna con più di una trentina di edizioni, e questo, ben sessant’anni prima della versione tedesca di Lutero.
Tra il 1754 e il 1773, i monaci Giambenedetto Mittarelli e Anselmo Costadoni pubblicarono, in nove volumi in folio, gli Annales Camaldulenses Ordinis Benedicti: una storia dal 907 al 1770. Il Mittarelli redasse anche il “Bibliotheca codicum Mss. monasterii St. Michaelis de Murano cum appendice librorum 15, saeculi”, un catalogo dei codici presenti nella biblioteca di San Michele, che attesta l’importanza della raccolta prima delle dispersioni.
Un altro erudito fu Angelo Calogerà, principale compilatore della “Biblioteca universale”, compendio di molte gazzette letterarie e bibliografiche. Tuttavia, la sua opera è ricordata soprattutto per una collezione di testi, inediti e rari, di autori italiani in varie lingue: la “Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici”, pubblicata tra il 1728 e il 1757, in cinquanta tometti; e continuata poi con la “Nuova Raccolta”, che egli diresse fino al 1765. Un esplicito riconoscimento della cultura moderna.
Purtroppo, quest’ultimi rappresentarono l’ultima fioritura culturale di San Michele, prima della tempesta che si sarebbe abbattuta a breve, impersonata soprattutto dall’invasione delle truppe rivoluzionarie francesi. Ormai i giorni per il monastero camaldolese di San Michele erano contati.
Gli ultimi monaci, tra i quali il bellunese Mauro Cappellari (il futuro Gregorio XVI) e Placido Zurla, contesero con tutti i mezzi legali, per protrarre l’inevitabile. Riuscirono a salvare la Chiesa e il Monastero dalla demolizione, ma nulla poterono per contenere la depredazione del grande tesoro custodito dalla biblioteca. Dei 180.000 volumi e 36.000 codici manoscritti pochi si salvarono.
Parte di essi sono nella biblioteca di San Francesco della Vigna a Venezia. Il resto si disperse. Molti dei codici sono nelle biblioteche Nazionali di Parigi e Berlino, nella Bodleiana di Oxford, nel British Museum di Londra, a New York, a Chicago, a Leningrado.
Il complesso divenne per breve tempo un collegio per i giovani nobili veneziani. La vita del collegio, intitolato Dei Nobili, è rievocata da un poemetto, scritto da uno degli alunni, che diverrà un erudito archivista: Fabio Mutinelli.
Durante il giorno i ragazzi trascorrevano le ore tra studi e giochi, ma, alla sera, soprattutto durante le lunghe notti invernali, si radunavano nelle camerate, dove ascoltavano i rintocchi della campana, che suonava lugubremente per gli sperduti nella laguna.
Purtroppo, l’antico monastero divenne un carcere politico, probabilmente per la sua posizione in laguna, che rendeva difficile ogni evasione. I primi detenuti furono cinque bellunesi, poi le celle ospitarono i numerosi Carbonari processati a Venezia, nel 1821. Dopo essere stati inquisiti dall’Imperiale Regia Commissione Speciale, passarono da qui Silvio Pellico, Pietro Maroncelli, Fortunato Oroboni e altri famosi patrioti. L’ultimo prigioniero politico, nel 1859, fu don Giuseppe Fogazzaro, il prete patriota che sarà trasfigurato dal nipote Antonio Fogazzaro nel personaggio di don Flores nel romanzo Piccolo mondo moderno.
Ma a quel tempo, già da mezzo secolo, questo tratto di laguna era diventato il camposanto dei veneziani.
Il decreto napoleonico del 12 giugno 1804 aveva destinato la vicina isola di San Cristoforo della Pace, quale luogo per edificarvi il cimitero. La scelta comportò la demolizione della Chiesa e del Monastero, che avevano ospitato, prima i Bridigini, e poi gli Agostiniani. Presto, però, ci si rese conto che lo spazio era esiguo, per cui l’imperatore Francesco I ordinò di interrare il canale separante l’isola di San Cristoforo dall’isola di San Michele. Il 2 agosto 1839 ci fu la benedizione del patriarca.
Per il nuovo camposanto venne bandito un concorso: lo vinse il trevigiano Annibale Forcellini, che fece un progetto con molti punti in comune con quello di Milano. I lavori si conclusero nel 1876. A volo d’uccello è ora un grande quadrilatero, a riquadri, con una coda poco estesa, che difficilmente potrà avere ampliamenti futuri.
Oggi i cipressi dell’isola accompagnano il riposo: non solo dei veneziani, ma anche di molte persone che finirono di amare Venezia e vollero rimanervi per sempre.
Qui, infatti, vi riposano il musicista Luigi Nono, gli storici Giulio Lorenzetti e Pompeo Molmenti; gli scrittori Carlo e Gasparo Gozzi; l’attore Cesco Baseggio; i pittori Virgilio Guidi, Emilio Vedova e Mario De Luigi; i compositori Ermanno Wolf Ferrari e Igor Stravinskij; i poeti Josif A. Bodskij e Ezra L. Pound, lo scienziato Christian Doppler.
Anche la loro presenza aiuta a perpetrarne l’eternità.
Interessante risulta essere una visita accurata per scoprire, passo dopo passo, dove questi personaggi famosi sono stati collocati e riposano per l’eternità.

18 commenti su “L’isola di San Michele. Il cimitero monumentale di Venezia

    • Grazie. In effetti la laguna veneta è splendida. Offre delle vedute fantastiche, da Chioggia a Cavallino Treporti; senza poi contare i tanti tesori, non solo storici, che custodisce.

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  1. Venezia è stata l’unico modo per rivedere il mare dopo 3 anni. E dal treno solo sentendo l’odore ho pianto. Venezia è unica. Non ci sono psrole che possano descrivere la meraviglia di tale paradisiaco angolo di mondo.

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    • Grazie. Visto che ti è piaciuto l’articolo, mi permetto di suggerirti un altro luogo della memoria, dove le suggestioni possono indurti a credere di essere a Praga. Parlo del cimitero ebraico di Lido di Venezia, all’interno del quale riposano molte di quelle persone che hanno fatto la storia, anche della cultura, tra le quali la poetessa Sara Copia Sulla. Grazie per i tuoi commenti. Marco. Alla prossima.

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      • mi documenterò, grazie mille, lo sai che il mio cognome è elencato nella cerchia della piccola nobiltà veneziana del secolo XVI XVII? ah le omonimie!

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  2. Pingback: L’isola di San Michele. Il cimitero monumentale di Venezia — VOCI DAI BORGHI | l'eta' della innocenza

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