ALVISOPOLI, UN UTOPIA SETTECENTESCA

Sul finire del Settecento, a ridosso del piccolo centro rurale di Fossalta di Portogruaro, sottile cerniera tra la provincia di Venezia e la friulana Pordenone, un uomo, figlio del migliore Illuminismo, ebbe la rara possibilità di vivere la sua utopia idealistica.
Il suo nome era Alvise Mocenigo e nacque a Venezia il 10 aprile 1760 da Alvise V Sebastiano e da Chiara Zen, maggiorenti di un casato tra i più influenti e facoltosi della città lagunare d’allora. Nel 1790, presa in mano – in maniera alquanto disinvolta – la gestione delle proprietà della famiglia, Alvise intraprese un ambizioso progetto urbanistico, attraverso il quale gettò le basi di una città del tutto autosufficiente e funzionale, trasformando un vasto latifondo in un esperimento piuttosto articolato, sia dal punto di vista urbanistico che di significato sociale, nonché dai costi che si presentarono piuttosto elevati. Ma, alla fine, si trasformò in un’esperienza sociale e produttiva di grande rilievo storico.
Il latifondo, conosciuto sotto il nome di Molinat, era un ambiente paludoso, desolato e malsano, attraversato per lunghi tratti da un fiume di risorgiva; una terra nella quale la regina indiscussa era la malaria, l’aria insalubre, e, come lasciò scritto lo stesso Mocenigo, “una settantina di miseri formavano tutta la popolazione, gonfi di ventre, gialli di fisionomia, di cortissima vita”.

Tra le fonti da cui Alvise dedusse l’ispirazione per costruire la sua città notevole peso ebbero le idee di Pietro Giannini e Gaetano Filangieri, in piena sintonia col Secolo dei Lumi. Peraltro, frequentava l’Accademia degli Estravaganti, come era di casa nella più famosa Arcadia. A sua volta prese ad esempio Ferdinandopoli, la Comunità agricolo manifatturiera di San Leucio sorta nei pressi di Caserta, per volontà di Ferdinando di Borbone, re delle Due Sicilie.

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edifici della Comunità di San Leucio

La città di Alvise, che poté chiamarsi Alvisopoli nel 1800 grazie al governo austriaco, era impostata secondo criteri tra i più moderni della scienza agraria del tempo, integrata da una stretta filiera che si occupava della trasformazione dei prodotti e la distribuzione degli stessi sul mercato. Tra le produzioni, ad esempio il Mocenigo, ricordò “sopra l’uva, come sopra diverse altre materie, e con quali maggiori o minori mezzi si potesse estrar lo zucchero…Alle api e al miele dunque si rivolse il pensiero”. A queste si aggiunsero la coltivazione del riso, attraverso le più moderne tecniche piemontesi, la filatura di vari tessuti e la conceria.
Il grande lavoro di bonifica e la stessa città abbisognava di una nuova popolazione; e questa fu trovata nei possedimenti dei Mocenigo sparsi per tutto il Veneto: nuclei familiari di contadini e braccianti arrivarono dal vicentino, dal padovano e dal veneziano, in particolare dai dintorni della località di Cavarzere.

Dopo di che si intraprese la canalizzazione delle acque, attraverso l’escavo di due canali scolatori, il Taglio e il Fossalone, quindi si passò al rimboschimento dell’area, introducendovi diverse specie arboree. Allo stesso tempo si costruirono a villa padronale, le barchesse a loggia in stile dorico, la scuderia, la cantina, che delimitano un grande giardino all’italiana. Poco lontano le case coloniche e gli edifici adibiti alla lavorazione dei prodotti, quale il mulino, la fornace, la filanda, la conceria e per la pilatura del riso; non mancavano i fabbricati per la vita di ogni giorno: la chiesa, le scuole, la farmacia e una locanda.

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La villa padronale
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Le case coloniche
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edificio per la pilatura del riso
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Palazzo dell’amministrazione
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barchessa di sinistra
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barchessa di destra e il cantinone

La villa fu eretta tra il 1803 e il 1805 anni Battista Balestra, sulle fondamenta di un precedente edificio dominicale, era completata da un parco di ben otto ettari, dove un fosso di risorgiva alimenta piccole canalette e uno stagno, ricoperto da splendide ninfee.

Stando alla comune opinione, formatasi sulla scorta delle interpretazioni di storici dell’arte e studiosi locali, si è ritenuto soddisfacente l’attribuzione del progetto del complesso artigianale e molitorio, nonché il suo piccolo mondo, all’architetto bassanese Giovanni Battista Balestra. La tesi, passata per fondata, è stata successivamente fatta propria da buona parte di chi si è occupato di Alvisopoli, tra i quali, ahimè, si è posto pedissequamente anche lo scrivente. In realtà, Susanna Pasquali, accademica della Facoltà di Architettura della Sapienza di Roma, nota per i suoi temi di ricerca sul Settecento italiano ed Europeo – tra i quali cito “Il Pantheon. Architettura e antiquaria nel Settecento a Roma, 1995 – ha smontato “chirurgicamente” l’errata attribuzione, riconoscendo a ragione la mano dell’architetto Vincenzo Balestra, l’architetto visionario, che guardava al futuro, soffermandosi su ciò che di buono intimava il passato.

Il rigoglioso scenario naturale è costituito da un antico bosco di pianura, composto da farnie e roveri, a cui si alternano le betulle, gli aceri, i carpini bianchi, i frassini o alberi centenari non nativi, quali ad esempio, gli ippocastani o i cedri, oltre a numerose specie arbustive ed erbacee. Qui cresce una rosa rara ed unica: la rosa Moceniga. La sua presenza non è sempre vistosa, a volte la si nota appena, seminascosta dalla vegetazione, altre volte spicca fra le altre specie erbacee. Nel corso delle sue fioriture, due volte all’anno – in inverno e in primavera – i suoi petali cambiano colore: da un colore rosso passa al rosa e al candore del bianco.

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La rosa Moceniga

Nella tipografia, allestita nel 1810 prima di essere trasferita a Venezia nel 1814, si vennero a pubblicare con il la marca tipografica dell’ape con il motto Utile Dulci, numerose opere di grande spessore letterario e saggistico, tra le quali l’Inno alla Pace di Giovanni Paradisi, che celebrò le nozze di Napoleone con Maria Luisa d’Austria, o le Api Panacridi di Vincenzo Monti.

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chiesa di San Luigi

La chiesetta, sorta sulle preesistenze di un oratorio intitolato a Sant’Antonio, venne edificata sulla base delle considerazioni del Balestra e del Canova. Disposta all’esterno della villa padronale, aperta all’intero complesso, era ed è dedicata a San Alvise e a San Luigi di Gonzaga. Nel 1843, Lucia Memmo, moglie di Alvise, mise mano alla chiesa, realizzando le due navate laterali e il coro. Inoltre, dispose che venissero qui trasferite molte delle opere, in precedenza custodite nell’oratorio di Cà Memmo di Cendon di Silea, in provincia di Treviso. Notevoli, tra questi, i due angeli marmorei, attribuiti a Giusto Le Court. Infine, nel 1907, fu eretto il campanile.

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oratorio di Cà Memmo
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il campanile

Con la morte dell’ultimo discendente della famiglia Mocenigo, Alvisopoli conobbe un processo di trasformazione e di abbandono. Nel 1983, l’intero complesso venne acquistato dall’allora IACP di Venezia, oggi Ater di Venezia, che decise il restauro, destinandolo a residenza, pur realizzando un recupero globale dell’antico centro. Dopo il recupero della villa, delle scuderie, dove si sono ricavati altri alloggi di edilizia popolare, negli ultimi anni sono stati ristrutturate le barchesse e le cantine, creando uffici e spazi per eventi ed esposizioni temporanee, estesi al giardino e al parco.

L’articolato intervento di restauro del complesso monumentale e naturalistico ha permesso la restituzione alla comunità di un bene, con una storia che rischiava di andare perduta.

Oltre al valore storico rappresentato dall’idea moderna e progressista di Alvise Mocenigo, la realizzazione del complesso/borgo da lui ideato, merita una profonda riflessione che, a mio parere, dovrebbero fare molti urbanisti nella ideazione di città moderne. Create sulla base dei bisogni contemporanei dell’urbanizzazione, ma fatti in maniera razionale e non estemporanea. Con l’idea e il presupposto di lasciare qualcosa di utile e duratura per chi sarà dopo di noi.

27 commenti su “ALVISOPOLI, UN UTOPIA SETTECENTESCA

  1. non conoscevo questo complesso frutto della visione utopistica di un personaggio che guardava al di là del proprio naso. Fortunati i fruitori di tutto questo ben di Dio.
    Condivido le tue ultime considerazioni. Troppo spesso si privilegiano bisogni estemporanei anziché lasciare qualcosa di duraturo

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  2. Insomma una trasformazione incredibile?! Ti faccio un Reblog ma tu mi devi cercare la rosa Moceniga perché devo averla. Voglio far morire di invidia le mie amiche. Ma almeno posso mantenerla bene in un vaso? Sarebbe stupendo averla 🙂🙂♥️♥️

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  3. Sempre molto belli ed accurati i tuoi post
    Grazie di farci conoscere, con così sapiente maestria,
    questi luoghi e queste vicende meravigliose
    🙂
    serena giornata
    Monica

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  4. Mi diletto nella lettura dei tuoi post sempre molto interessanti. Un piacere scoprire leggendoti, luoghi come questo ad esempio, che la dice lunga su come una volta si sapessero impiegare risorse per abbellire, con un occhio anche all’arte ,chiese,giardini, palazzi. L’Italia nascosta che tu ci fai scoprire, è meravigliosa. Ti abbraccio caro Marco e sempre grazie. Isabella

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    • Cara Isabella, scusami se ti rispondo solo ora. Giorni alquanto impegnativi e il sistema informatico spesso impallato. Comunque non posso che ringraziarti nuovamente per i tuoi commenti. Un abbraccio. Marco

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      • Caro Marco non devi scusarti con me. Anch’io ho dei problemi purtroppo in questo periodo. Non giro neanche tra i blog e come mi piacerebbe. Comunque ti ringrazio e appena posso ritornerò a trovarti. Vedere il tuo” distintivo” tra i mi piace sui miei post è sempre un piacere. Tu sai che ti voglio bene. Grazie ancora. Un abbraccio. Isabella

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  5. Storia molto interessante. Devo andarci, non abito molto lontano, e conosco quella zona, però di Alvisopoli non sapevo nulla.
    Grazie per queso interessante blog.

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    • Ne vale davvero la pena. Peraltro sembra proprio che il fossaltino si presti a questo tipo di esperienze, dato che negli anni ‘50 la famiglia Marzotto fece qualcosa di simile nella frazione di Villanova. Quest’ultima località non è lontana da Alvisopoli. Grazie per il commento

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  6. Pingback: IL CAPITALISMO CRISTIANO DI VENEZIA. il miracolo di Alvisopoli. – Storia e Arte veneta

  7. Sono un abitante nato e residente ad Alvisopoli e ti ringrazio per la tua accurata cronaca storica. A tutt’oggi la domenica che più si avvicina al 21 giugno festeggiamo il nostro patrono San Luigi con una grande festa paesana, processione e una cuccagna orizzontale che si svolge sul canale Taglio davanti alle barchesse. Da non perdere.

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    • Ciao Denis, grazie del commento. Qualche anno fa, ebbi l’incarico di verificare le quattro sculture attribuite a Le Court – i due angeli e putti nella vostra chiesetta intitolata a San Luigi Gonzaga – e subito mi trovai far parte di questa piccola e meravigliosa comunità. Mi ricordo ancora della vostra sagra, peraltro condita da pietanze da leccarsi i proverbiali baffi. Tra le tante persone, tutte quante gentili, ricordo il sig. Macor e le altre persone, che hanno compiuto il miracolo di salvaguardare l’anima di Alvisopoli, compreso il gioiello rappresentato dalla Moceniga, la vostra rosa primigenia. Ciao, alla prossima. Marco

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