Nervesa della Battaglia. L’abbazia di Sant’Eustachio

 

Nel giugno del 1918, sui contrafforti collinari del Montello, a nord di Treviso, nei pressi della stretta del Piave, la località di Nervesa, di probabile origine romana, conobbe la distruzione quasi totale dei suoi edifici civili e religiosi, sotto il bombardamento degli Austro Ungarici e degli Italiani. Furono spezzate migliaia di vite di ragazzi di ambedue le parti, bagnando letteralmente di sangue il suolo collinare. Sotto il Ventennio, all’originario toponimo si aggiunse “della Battaglia”, in ricordo di quei tragici giorni nel corso della Battaglia del Solstizio. Qui, come in tutte le località vicine, sono numerosi i rimandi e le testimonianze di quel bagno di sangue, tra tutti il Sacrario, eretto in epoca fascista, o i resti di quella che era stata uno dei più importanti complessi religiosi del trevigiano, l’abbazia risalente al IX secolo e intitolata a Sant’Eustachio, nobile cavaliere romano che subì il martirio sotto l’imperatore Adriano.

La sua fondazione trova origine nella fede del conte di Treviso Rambaldo III e di sua madre Gisla, assoggettandola alla Santa Sede Apostolica, alla quale versava annualmente un censo simbolico: “Rambaldus comes et eius mater Gisla zelo religionis ferventi spe futurae remunerationis in possessione sua prope castellum quod dicitur Narvisia in comitati Tarvisino construxit atque Apostolicae Sedi devovit…ipsum monasterium sub tutela et defensione Sancte Sedi Apostolice suscipimus” (pontefice Alessandro II, Bolla Suscepti regiminis del 1062).

Rambaldo III, con questo atto fondativo, aveva dimostrato di avere dalla sua della preveggenza politica e i fatti nel futuro non avrebbero tardato a dargli ragione. I Collalto avevano perseguito una politica piuttosto ondivaga negli anni, nei confronti dell’autorità imperiale ed ecclesiastica, almeno fino al 1080, quando nella Lotta dell’Investiture, i conti decisero di appoggiare le istanze del papato, mentre il vescovo di Treviso continuò a sostenere quelle dell’Impero. Il che portò l’abbazia di Nervesa ad assumere un ruolo primario all’interno della diocesi di Treviso.

I privilegi concessi all’abbazia da Alessandro II, e riconfermati in seguito da altri pontefici, di fatto avevano ridimensionato l’espansionismo del vescovo, con la sua esenzione dalla diocesi, il diritto di libera elezione dell’abate e la dispensa delle decime di tutte le parrocchie a lei soggette. Chiunque avesse contravvenuto a quanto stabilito dal pontefice, la pena comminata era la scomunica, allontanando il reo dalla Chiesa e dai sacramenti.

Il conte Rambaldo III dimostrò una certa accortezza anche nella scelta del luogo, dove sarebbe stata costruita l’abbazia. Dalla sommità del colle, i monaci benedettini avrebbero guidato la bonifica dei tanti terreni incolti e boschivi, facendo del cenobio un punto di riferimento di tutta l’area. Senza poi contare la vicinanza del Piave e del guado altrettanto vicino, che indussero nell’immediato la costruzione di numerosi mulini, e la reale possibilità di controllare i flussi commerciali in direzione della laguna veneta.

Nel luglio del 1091, Rambaldo IV e la coniuge Matilda fecero una nuova elargizione all’abbazia, donando “massarias, capellas et ecclesias”. Questo atto probabilmente nascondeva nuovamente una più sottintesa ragione terrena. Le lotte per le “Investiture” erano nel pieno, senza esclusioni di colpi e mezzi, sia materiali che spirituali. Papa Urbano II e l’imperatore Enrico IV non erano disposti a perdere alcuna delle loro prerogative e, come avvenne sotto quasi tutti i campanili, anche a Treviso si vennero a rinfocolarsi le fazioni guelfe e ghibellina, creando l’altalenante e momentanea vittoria per gli uni o per gli altri degli schieramenti. Gli stessi conti di Treviso conobbero il disonore della caduta e l’indulgenza imperiale venne solo in seguito ad una grossa ammenda in denaro, che obbligò i Collalto a vendere molti dei beni più produttivi posseduti dalla famiglia nell’entroterra veneziano.

La prudenza di Rambaldo IV aveva di fatto salvato molti beni di famiglia, facendoli confluire nell’abbazia di Nervesa, un’istituzione che comunque rispondeva agli stessi Collalto. I privilegi concessi dal Laterano all’abbazia furono poi riconfermati da altri pontefici, quali Innocenzo II e Eugenio III. Più tardi, il 2 marzo 1231, papa Gregorio IX, rinnovando la protezione apostolica, confermò all’abbazia di Sant’Eustachio il controllo di 35 chiese, situate dall’area pedemontana fino all’area lagunare, in buona parte all’interno della diocesi di Treviso, avvalorando l’idea che all’interno di uno stesso distretto coesistessero due istituzioni di pari grado.

Liti e lotte non finirono nei secoli successivi, finché nel 1521, papa Leone X, con la Bolla “in supereminentis”, ridusse l’istituzione abbaziale a prepositura commendatizia della famiglia dei Collalto. Tuttavia, la prepositura mantenne molti dei privilegi goduti nel passato, che, in linea di massima, la rendevano autonoma ed indipendente, cosa che, ovviamente, non pose fine ai contrasti con il vescovo di Treviso.

La prepositura superò, quasi indenne, gli anni difficili del dominio francese, grazie alla guida del preposito Vinciguerra VII di Collalto, che vi inserì al suo interno una azienda agricola, nella quale furono applicate le più moderne tecniche agricole. Sebbene fosse sopravvissuta alla soppressione francese e alla relativa confisca dei beni – al contrario della vicina Certosa del Montello, del tutto scomparsa -, delle grosse nubi si erano addensate sopra la sua storia.

Il 4 agosto 1865, il vescovo di Treviso, il veneziano e filoaustriaco Federico Maria Zinelli, riuscì a chiudere i conti con l’antica abbazia, trasferendo lo iuris abbaziale agli ordinari di Treviso. Tuttavia, la pietra tombale sulla storia più che secolare del complesso ecclesiastico, doveva essere apposta sotto papa Pio IX. I beni dell’istituzione furono secolarizzati e trasferiti al vescovo di Treviso e alla famiglia dei Collalto.

L’abbazia non era stata solo un centro spirituale, all’interno del quale riecheggiarono preghiere e salmi cantati, ma accolse anche grandi letterati, che scrissero le loro opere al sicuro delle sue mura o, più semplicemente, alla ricerca di una rinnovata serenità. Tra questi, oltre al tagliente e brillante Pietro Aretino, si ricorda il monsignor Della Casa, che proprio qui compose il “Galateo overo de’ costumi”, il famoso libello sulle buone maniere, e due sonetti: il “Sonno” e la “Selva”. E, piace pensare, che qui avessero trovato eco i versi della poetessa Gaspara Stampa, che, innamorata perdutamente di Collaltino, che li fece avere al fratello Vinciguerra, preposito di Nervesa, con il desiderio di trovare in lui un intermediario del suo amore, della sua intima sofferenza.

Signor, dappoi che l’acqua del mio pianto,
che sì larga e sì spessa versar soglio,
non può rompere il saldo e duro scoglio,
del cor del fratel vostro tanto o quanto;
vedete voi, cui so ch’egli ama tanto,
se, scrivendogli umìle un mezzo foglio,
per vincer l’ostinato e fiero orgoglio
di quel petto poteste avere il vanto.
Illustre Vinciguerra, io non disio
da lui, se non che mi dica in due versi:
-Pena, spera, ed aspetta il tornar mio. –
Se ciò m’aviene, i miei sensi dispersi,
come pianta piantata appresso il rio,
Voi vedrete in un punto riaversi.

(Gaspara Stampa, Rime, CCLVIII)

Ci sono validi motivi che inducono a ritenere che l’abbazia sorse in un sito abitato fin dall’epoca romana, probabilmente una costruzione di carattere militare, data la sua particolare posizione. Per quanto siano stati fatti negli ultimi anni degli scavi archeologici, che hanno contribuito ad offrire nuovi ed interessati dati sul complesso abbaziale, tuttavia della chiesa originaria non si conosce molto, perché è certo che essa è stata più volte modificata e ampliata. L’impianto era a tre navate e nel loro incrocio con il transetto si slanciava il tetto a forma di cupola, sopra del quale trovava posto una torre campanaria. Come di consueto, il chiostro era posto tra la chiesa e gli altri edifici monastici; e la cella dell’abate con una piccola loggetta era posta al di sopra del corpo dello stesso chiostro.

Raggiunta la parrocchiale di San Giovanni Battista a Nervesa,

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si può comodamente parcheggiare l’auto nell’ampio parcheggio e, attraversata la strada, ci si trova davanti ad un cancello, sui cui lati vi sono dei cartelli segnalatori con tutta una serie di indicazioni, informando il visitatore che stanno per entrare in un luogo da rispettare, per la sua storicità e religiosità, anche se inserita in una tenuta privata, la Tenuta Giusti Wine.

 

Percorrendo la sterrata con una leggera pendenza, avvolti da una boscaglia lussureggiante, è possibile prendere il fiato, leggendo le tante targhette con le informazioni sui singoli alberi o sulla fauna; o sedersi sulle panchine, perdendo il proprio sguardo sul panorama.

 

Durante la salita, accompagnati da vigneti e ulivi, un altro cartello ci informa, che accanto vi è un castelliere, un insediamento fortificato protostorico posto su una altura. Si supera l’eremo di San Girolamo, una piccola costruzione di forma ottagonale, restaurata da qualche anno, e, poco dopo, la meta nel suo splendido isolamento.

 

Qui, superato lo stupore, le emozioni sono diverse. Da un lato si prova una sensazione di profonda pace al cospetto delle rovine, dall’altro le stesse rovine sembrano urlare della pazzia dell’uomo.

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29 commenti su “Nervesa della Battaglia. L’abbazia di Sant’Eustachio

  1. luoghi che non conosco, ma dei quali sono rimasto affascinato attraverso il tuo racconto fotografico, molto belle le immagini.
    Di grande valore la storia del borgo. Ottimo post 😉

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  2. Ho degli zii che abitano da quelle parti. Mi hai fatto venire voglia di andare a visitare il posto. Lo segno come meta per qualche gita giornaliera estiva visto che non è troppo lontano da me.

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    • Intanto grazie. Le tue parole mi fanno molto piacere e giustificano l’esistenza di questo blog, ovvero di far conoscere tutti i monumenti – nel limite del possibile – cosiddetti secondari, che, invece, non sono tali. Grazie ancora

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      • Passo ad avvisare che finalmente ho visitato il posto. Ho scritto un report nel mio blog e ti ho citato come fonte d’ispirazione 🙂

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      • Grazie mille. Ho letto il tuo articolo. Mi è piaciuto molto. Il ritratto che hai fatto di Nervesa e dei suoi monumenti non è solo fedele alla realtà, ma possiede una profondità che ho molto apprezzato. Complimenti ancora. Ciao, Marco

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      • Purtroppo, la responsabilità non ricade solo sulle truppe austriache, ma – la follia della guerra – l’abbazia fu oggetto di bombardamento anche da parte delle truppe italiane e degli alleati. L’altare maggiore fu bruciato dai soldati inglesi. Grazie per l’intervento

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      • la follia della guerra almeno la seconda è una storia che sto cercando di capire in questi anni una follia a marchio umano inteso come uomini e donne e come solo noi ne siamo capaci nella nostra coerenza incoerente

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      • Condivido ogni tua singola parola. Dopo aver letto il tuo commento, ho ripreso in mano un libro letto qualche tempo fa: L ‘arazzo rovesciato. L’enigma del male; che, oltre a riconoscere i labili confini tra bene e male – osservati dalla Arendt nel suo Banalità del Male – offre una prospettiva apparentemente lapalissiana, a parole: “l’uomo è incline al male, ma c’è sempre la possibilità di riscattarsi, di fare il bene, di compiere un’azione diversa da quella sbagliata”. Quindi, il male non è il frutto di un psicopatico violento, ma la conseguenza di una scelta, di una delle due possibilità date a ciascuno di noi. Alla prossima. Marco

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