Chioggia, una perla dell’Adriatico

Mai come ora si sente la necessità di tornare a vivere la bellezza del nostro Paese, senza lasciarsi andare alle sterili polemiche o ad atti irrispettosi di campanile, stigmatizzando di fatto quanto di buono e meraviglioso vi sia da Bolzano a Lampedusa, da Napoli a Vasto. L’Italia è stato uno dei pochissimi Paesi che ha avuto il coraggio di guardare in faccia il minuscolo incubo, affrontandolo a viso aperto a costo di enormi sacrifici, senza nascondersi dietro a un dito e occultare pesanti verità. Certo, gli storici del futuro avranno da scrivere numerose pagine su quanto accaduto in Italia, rovesciata come un calzino dall’epidemia e dalle azioni spesso schizofreniche tra chi voleva il blocco totale e tra chi ha preso coscienza della criticità del momento con lo scorrere delle ore. Sono morte delle persone e altre ne moriranno nel corso delle prossime ore. Sarebbe da scrivere tanto altro, ma non è il momento. Il nostro è un Paese in quarantena, ma non possiamo assolutamente dimenticare tutto il bello che ci attornia, rendendolo unico al mondo. Prima o poi, il male finirà e finalmente potremo riappropriarci della bellezza dei nostri luoghi, che sapranno ricambiarci con tutto l’amore possibile. Stando a casa,

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proverò nel mio piccolo, a regalarvi quanto ci aspetta fuori: un minuscolo affaccio sulla bellezza racchiusa dai nostri confini. Riscopriamo le piccole cose… Una necessaria precisazione: le fotografie risalgono a tempi ben lontani dalle restrizioni vigenti e, augurandovi giorni sereni a venire, spero di distogliervi almeno qualche attimo dal clima plumbeo, che ci opprime.

La Laguna di Venezia vanta una delle cittadine più caratteristiche non solo del veneziano, ma del Veneto intero: parliamo di Chioggia, un borgo del margine meridionale dell’estuario veneto dal fascino incredibile, famoso per il suo centro storico e per il litorale di Sottomarina con la sua spiaggia, che si spiega su una decina di chilometri e una profondità di oltre trecento metri, la cui sabbia risulta particolarmente votata alle terapie. Un centro dalle mille sfaccettature per le innumerevoli perle culturali e naturalistiche, che nulla hanno da invidiare ad altre “illustri” località turistiche del Mare Adriatico.

Molto del suo fascino deriva dal suo inconfondibile centro storico vecchio di secoli e dalla trama urbanistica, che si dipana al di sopra di un’isola, segnata da tre canali paralleli, ai lati dei quali si affacciano numerosi e colorati palazzi in stile veneziano: Canal Lombardo ad ovest,

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Canale Lombardo

Canale di San Domenico ad est e, infine, il centrale Canal Vena;

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Canal Vena
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Canal Vena nei pressi del mercato del pesce al minuto
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scorcio Canal Vena
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Canal Vena, mercato del pesce al minuto
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Portale d’ingresso del mercato del pesce al minuto
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Canal Vena, scorcio
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Canal Vena, scorcio
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Canal Vena, scorcio
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Canal Vena, scorcio

e dal dedalo pittoresco di calli e callette – se ne contano 74 –

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che interseca ortogonalmente le tre vie d’acqua, dando vita alla particolare pianta, sulla quale la fantasticheria spesso vi intravvede una lisca di un pesce.

La sua insolita topografia ha sollevato l’interesse di numerosi studiosi, riuscendo perfino a condurre la discussione oltre il probabile. In realtà, l’origine del processo di formazione del centro lagunare è ancora incerta. Nel passato, gli studiosi si erano indirizzati nella narrazione delle origini, attraverso l’erudita opera di ricostruzione, che le elaborava in un passato remoto, nobilitandole con leggende che trovavano una loro giustificazione nel toponimo stesso. Affascinati dal filone virgiliano, dalla leggenda sofoclea d’Antenore e, soprattutto, dal “Roman de Troie” di Benoit di Sainte Maure, gli studiosi avevano dato vita ad una composizione cronachistica, le cui trame si riallacciavano al mito dei “nostoi”, il ciclo epico dei ritorni degli eroi achei da Troia e dalle emigrazioni degli eroi troiani, esuli in cerca di una nuova patria. L’intento apologetico e celebrativo, radicato da stratificazioni di verità acriticamente alimentatesi da determinate citazioni autoritative, crebbe fino a divenire un assioma, tanto che ancora oggi è possibile rintracciarlo nelle tante pagine, di carta o virtuali, aventi come oggetto la storia del centro lagunare.

Il quadro così ricamato rimanda alle coste anatoliche, alla distruzione di Ilio e all’esodo dei profughi troiani lungo le acque del Mediterraneo. Assieme ai superstiti del popolo degli Eneti della Paflagonia, alleati di Ilio, vi erano anche i troiani Antenore, Clodio e Aquilo. Quest’ultimi risalirono le acque dell’Adriatico e si trovarono a “penetrare i golfi illirici, spingersi senza pericolo i regni dei Liburni, oltre le sorgenti del Timavo” (Eneide, I, 242), approdando alla fine in quel collage di terra e acqua, che assunse il nome di Venezia, fondandovi alcune città, tra le quali Padova, Chioggia e Aquileia, con i rispettivi eponimi Antenore, Clodio ed Aquilo. Un bel racconto, senza dubbio. Ma solo un racconto, legato al troppo amore verso il proprio campanile.

Si tratta, quindi, di esercizi di fantasia, al pari di quelle che vogliono la cittadina di origini pelasgiche, rifacendosi alla mitica popolazione della Tessaglia, o, in alternativa, una più generica genesi greca. L’assertore più entusiasta dell’ellenicità della città fu lo storico chioggiotto Vincenzo Bellemo (1844-1917), che arrivò a scrivere: “E innanzi tratto osservo, che Cassiodoro afferma, non essere i nostri luoghi sorti naturalmente, ma artificialmente, cioè fatti dalla mano dell’uomo. Cotesta circostanza non pare doversi applicare alle case, ciò che sarebbe stata cosa banale del tutto; ma si deve applicare alle sedi dei centri abitati. Onde mi fa mantenere e fissare nell’idea, che il nome di Chioggia, vulgo Cloza, non derivi da re o imperatore che l’avesse fondata; ma, come già dissi, indichi piuttosto il modo singolare, onde ebbe la sua origine, espressa col nome greco κλοϴω, che appunto significherebbe fatta artificialmente. Né può fare specie il nome greco, quando si pensi essere opinione generale, che anche nella Venezia anticamente si parlasse un idioma greco o grecizzante, come del resto ce ne fan fede tanti altri nomi di origine probabilmente greca nel nostro territorio” (V. Bellemo, Il territorio di Chioggia, 1893, p.153).

Per quanto possa essere affascinante una simile ipotesi, tuttavia la lingua greca non ha nulla a che fare con la toponomastica chioggiotta, dato che il nome venne a costituirsi forse nella transizione tra il latino classico e quello volgare.

Nelle congerie fatte nel passato, non mancò chi vi riconobbe un’origine etrusca o, sulla scorta della “forma urbis”, chi vide la mano degli agrimensori romani, rilevando nella topografia i due assi cardinali tipici della città romana: il cardo e il decumano. In effetti, la struttura urbana si presterebbe a questa lettura, tuttavia una così estesa fondazione di epoca romana cozza contro il silenzio assordante delle fonti coeve, tanto da far sospettare che la formazione urbana vera e propria sia avvenuta più avanti, molto probabilmente nell’Alto Medioevo.

Forse, anche in questo caso siamo nell’ambito dei se e dei ma; l’unico cenno attestato dalle fonti antiche che si riferisce a Chioggia, ci è pervenuta da Plinio il Vecchio, allorché nella sua “Naturalis Historia” offre la descrizione del litorale adriatico e dei suoi centri rivieraschi, attraverso i quali transitava un percorso di grande rilevanza commerciale da Ravenna ad Aquileia, che si svolgeva per mezzo della linea endolagunare e dei canali “per transversum”, al riparo dei flutti marini. Il testo pliniano ricorda, in maniera episodica e frammentaria, tra i centri minori una Fossa Clodia, che la collocazione topografica ha portato a riconoscere l’attuale Chioggia, pur con tutte le riserve del caso (Plinio, Nat. Hist., 3).

Comunque sia, l’area in cui si estende l’attuale centro urbano chioggiotto è stata interessata da alcuni rinvenimenti archeologici; ma, sulla base dei dati disponibili, è ancora problematico giungere ad una definizione dell’assetto storico topografico dell’abitato antico. La difficoltà interpretativa non deriva solo dalla sovrapposizione dell’abitato medioevale e moderno sull’ipotetico impianto urbano originario, ma anche dalla dispersione dei materiali rinvenuti e dalla decontestualizzazione di quelli superstiti, secondo quella mentalità antiquaria, che ha portato alla scomparsa di molti resti di uso quotidiano.

Tra i materiali rinvenuti, soprattutto tra l’Ottocento e i primi decenni del Novecento, spiccano alcune lapidi

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e non mancano le monete, che coprono l’intera età romana, oltre a qualcheduna risalente alla prima tarda età bizantina. Purtroppo, molte di queste attestazioni del passato si sono volatizzate, finendo nelle mani dei collezionisti non solo “foresti”, anzi. A questo riguardo, in occasione dei “lavori di ristrutturazione e di messa in opera dei nuovi impianti elettrici, fognario e del gas, avvenuti nel 1990, gli operai avrebbero rinvenuto un cospicuo numero di monete che furono immediatamente spartite tra gli stessi. Secondo la testimonianza del proprietario di un negozio che si affaccia su calle S. Giacomo, nel corso dello scavo sarebbe apparsa una striscia di sabbia di colore rossastro lunga qualche metro assieme alla quale erano mescolate le monete: gli operai ne avrebbero raccolte circa un centinaio mentre il commerciante una trentina” (M. Asolati – C. Crisafulli, Ritrovamenti monetali di età romana nel Veneto. Venezia. Chioggia, 1993, p. 77). Analoga sorte incorsero alcune iscrizioni lapidarie, il cui ricordo è stato salvaguardato dalla trascrizione degli eruditi del passato; e la lettura di queste e di quelle ancora visibili ha permesso l’attribuzione all’ambiente patavino, grazie alle indicazioni onomastiche.

Dopo la caduta dell’Impero Romano, che si concluse formalmente con la deposizione di Romolo Augustolo nel 476 d.C., la cittadina visse sulla scia delle vicissitudini che si verificarono nella regione romana della “Venetia et Histria”. Terminate le guerre gotico bizantine, che videro il Triveneto in buona parte riconquistato dai bizantini, nel 569 d.C. Alboino, alla testa dei suoi Longobardi, si affacciò sulla pianura veneta, dando l’avvio dell’occupazione della terraferma veneta, che si completò alla metà del VII secolo, con l’esclusione del cosiddetto cuneo difensivo bizantino, imperniato lungo le antiche vie Annia e Postumia.

Giovanni Diacono, all’inizio del IX secolo, collocando forse correttamente l’origine di Venezia come fenomeno storico quale conseguenza dell’invasione dei Longobardi, ricorda:

“Le popolazioni della medesima provincia, rifiutando di sottostare al comando dei Longobardi, si recarono nelle isole vicine e in questo modo il nome di Venezia, dalla quale erano fuggite, fu assegnato a quelle stesse isole e quelle che tuttora vi abitano sono chiamati venetici…Dopo aver deciso di stabilire la sede delle loro future abitazioni in quelle isole, edificarono dei munitissimi luoghi fortificati e città e ricrearono per loro una nuova Venezia e una straordinaria provincia” (Giovanni Diacono, Istoria Veneticorum, I, 1, Zanichelli, 1999).

L’intreccio storico e geografico di Giovanni continua, dando un nome alle 12 comunità che costituivano il nucleo di quello che nel futuro sarebbe stato il ducato veneziano. Enumerandole, cita la undicesima e la dodicesima, che le ricorda con il nome di Clodia Maior, da identificare nell’attuale Chioggia, e di Clodia Minor, quasi sicuramente da assimilare all’odierna Brondolo, località dove sorse uno dei più antichi e importanti monasteri del bacino lagunare: il monastero di San Michele e Santissima Trinità. Più avanti, allorché il ducato divenne realtà, esso si presentava come una struttura policentrica. Civitanova era la cittadina più importante dell’area più settentrionale, il grande emporio di Torcello e le comunità Rialtine di quella centrale, infine Chioggia, che rappresentava il centro più rilevante del settore meridionale e vi erano associate le cittadine fortificate di Cavarzere e Loreo, oltre al lido di Pellestrina. In questo settore erano concentrate le risorse del ducato, in particolare le saline e i campi.

Subentrati i Franchi ai Longobardi, le rivalità tra i maggiorenti della comunità venetica, divisi in due “fazioni”, che, per semplicità, potremmo definire l’una filo carolingia e l’altra imperiale bizantina, furono all’origine di uno dei momenti più bui della nascente Regina dell’Adriatico. Nel 810 d.C., l’armata del re franco Pipino, con contingenti delle città di Comacchio, Ferrara e Rimini, invase le terre venetiche e distrusse Grado, Caorle e Fine; quindi si portò a meridione e diede alle fiamme le piazzeforti di Loreo, Cavarzere e Brondolo. L’offensiva si portò dentro la laguna, devastando Chioggia e Pellestrina, fermandosi davanti al porto di Albiola, dove, secondo la tradizione veneziana, il naviglio leggero a fondo piatto dei venetici ebbe la meglio su quello pesante degli aggressori.

Chioggia, come le altre località devastate dai Franchi, non sparì dalla storia e risorse dalle macerie, grazie all’intervento di Agnello Partecipazio. Un successivo documento del IX secolo, il cosiddetto “Pactum Lotharii”, attraverso il quale l’imperatore Lotario strinse una “pax firma” con il “populo Veneticorum”, l’estensore ricorda ancora come esistente il centro chioggiotto tra le comunità del ducato veneziano, subito prima dell’insediamento di “Brunduli”.

Rischiò nuovamente l’oblio con la calata degli Ungheri nel 899, che, ricalcando le orme di Pipino, la distrussero nuovamente, prima che le truppe veneziane li ponesse in “rotta” nel giugno del 900.

Intanto, poco lontano, l’antica città di Metamauco, assurta a ruolo di una delle capitali dello stato veneziano, cominciava a fare i conti con il suo lento, ma inesorabile declino. Le tante distruzioni subite e il fenomeno della subsidenza, che accentuava il problema delle inondazioni, avevano provocato il progressivo spopolamento della città. Infine, un maremoto mise la parola fine alla città, relegandola al mito delle tante città scomparse tra i flutti del Mediterraneo.

Il Vescovo metamaucense Stefano Badoere e l’intero Capitolo riparavano nella vicina Chioggia nel 1110, portando le reliquie dei santi Felice e Fortunato, i due fratelli originari di Vicenza, che, secondo la tradizione, furono decapitati poco fuori di Aquileia, dopo vari tormenti nel corso della persecuzione di Diocleziano.

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Attualmente i resti sono conservati nella cattedrale, all’interno di un’urna, eseguita nel 1905 da un artista locale, il chioggiotto Aristide Naccari. Una ricognizione storico scientifica, compiuta nel 2005, sul contenuto dell’urna ha accertato i resti di due individui di un’età compresa tra i 22 e i 40 anni, la cui datazione scorre in un arco temporale tra il II secolo d.C. e il IV secolo, avvalorando in linea di massima quanto tramandato dalla tradizione, che menzionava il capo di San Fortunato e il corpo di San Felice.

Nel corso del lungo scontro tra Genova e Venezia, con in palio il predominio dei traffici commerciali del Mediterraneo, Chioggia si trovò a divenire il palcoscenico di quella che sarà ricordata come la Guerra di Chioggia. Nel 1379, dopo essere stata assediata da terra e da mare, il centro lagunare cadde in mano genovese e padovana. Secondo le cronache, il combattimento all’interno della cittadina lasciò a terra migliaia di morti e altrettanti feriti da ambedue le parti. La reazione di Venezia non si fece attendere a lungo.

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Assedio di Chioggia in un dipinto del XVI secolo

Raccolte le forze, pose il blocco navale e terrestre attorno al centro clodiense e, di lì a qualche mese, il vessillo marciano tornò a sventolare su Chioggia, ancora una volta devastata. I successivi scontri con i nemici della Serenissima e le calamità, quale la peste dei Lanzichenecchi, che causò la morte di oltre 7.000 persone su una popolazione stimata di 12.000 individui, furono i picchi di una più profonda crisi, con cui la città dovette fare i conti.

Il 14 maggio 1797, in seguito all’arrivo delle truppe francesi, prendeva corpo la Municipalità provvisoria a Chioggia, durando poco più di un anno, dato che l’esperienza si chiudeva il 18 gennaio 1798, con l’ingresso in città delle truppe austriache, dopo il trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797. Tra i primi atti forte era la tensione verso la piena autonomia da Venezia, ma ancor prima che la Municipalità venisse sciolta, i municipalisti dovettero fare i conti con la realtà, che trovava compimento con l’inserimento di Chioggia nella Municipalità centrale di Venezia e il distacco della vicina Pellestrina, liquidando di fatto il controllo da parte dei chioggiotti dei commerci e dei transiti nella parte meridionale della laguna.

Il dominio austriaco fu mal tollerato, tanto che il 20 aprile 1800, in occasione della processione del “Cristo miracoloso” di San Domenico, i cittadini si sollevarono, costringendo la guarnigione all’interno del forte di San Felice. Solo il buon senso evitò che la città finisse bombardata dai cannoni del forte.

La città rischio nuovamente la distruzione nell’aprile del 1945, allorché l’aviazione alleata optò il suo bombardamento, per costringere alla fuga una consistente concentrazione di truppe tedesche allo sbando. Il 27 aprile, il fuoco di un enorme falò scongiurò il disastro imminente.

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La cattedrale di Chioggia e la porta urbica di Santa Maria
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Porta di Santa Maria, ingresso a Chioggia e al suo Corso del Popolo
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Refugium peccatorum 1
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Refugio peccatorum 2
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Refugio peccatorum 3
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Campanile della cattedrale di Chioggia
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Cattedrale di Chioggia e tempio di San Martino

Scorci del Corso del Popolo:

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La sua condizione di alterità tra acqua e terra, ha fatto sì che il centro clodiense si ritrovi a contare diverse risorse economiche. Il settore della pesca e della sua filiera, che si occupa della trasformazione del prodotto e della sua commercializzazione, evidenziano le crescenti difficoltà e le preoccupazioni, riscontrabili a livello regionale e nazionale, ma rappresentano tuttora una delle voci più importanti dell’indotto cittadino. La flotta peschereccia rimane ancora una delle maggiori della penisola italiana, sia per il numero di imbarcazioni che per il tonnellaggio, benché si assista alla tendenza generalizzata di graduale e costante calo, sia in termine di numero, che di capacità e potenza. Il target di questo settore agroalimentare rimane ancora il pesce azzurro, associato ai prodotti dell’acquacoltura e della pesca valliva. La cantieristica di supporto è ben radicata nel territorio e comprende la segmentazione del comparto delle riparazioni e trasformazioni navali, oltre ai diversi squeri, adibiti alla manutenzione ordinaria del tonnellaggio medio basso e del naviglio da diporto, che, peraltro, si può avvalere delle diverse darsene attrezzate. Da qualche anno a questa parte, gli scali marittimi di Val da Rio e dell’Isola dei Saloni, l’area portuale chioggiotta, ha conosciuto un nuovo sviluppo per il ruolo di terminal passeggeri, con i traghetti diretti in Croazia. Infine, grazie alle particolari condizioni pedoclimatiche del territorio, altra risorsa importante è rappresentata dalla produzione agricola di eccellenza, che trova esportazione di quote importanti nel mercato del Nord Italia e dell’Europa. Tra le produzioni di primo piano primeggiano il radicchio di Chioggia,

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la cipolla bianca tonda, la carota, la zucca marina e la patata. Per ultimo il turismo, chilometri e chilometri di spiaggia, costellati da coloratissimi stabilimenti balneari, richiamano migliaia di turisti ogni estate, desiderosi delle gioie del mare.

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Litorale di Sottomarina. Fonte web

Appuntamento fisso è la Marciliana, una rievocazione storica, in bilico tra storia e folclore, che ogni anno nel mese di giugno celebra la Guerra di Chioggia. Per l’occasione la città si trasforma in un grande borgo dal clima medievale, lungo cui il Corso del Popolo, il salotto della città, diviene il palcoscenico per gli accampamenti degli armigeri e per le centinaia di figuranti che riportano alla vita le antiche attività dell’epoca.

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In pieno luglio, invece, Chioggia ospita una manifestazione gastronomica, la Sagra del Pesce, in cui i tanti menù propongono i piatti tipici della cucina chioggiotta e veneziana.

63 commenti su “Chioggia, una perla dell’Adriatico

    • Grazie a te. Amo anch’io Chioggia. Ho trascorso gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Meravigliosi. Ogni mattina spalancavo i balconi e il mio sguardo spaziava dal canal vena al mercato del pesce e al municipio. I profumi…verdura fresca e i fuochi della cucina già in opera. Che dire del pane fresco…forse è nato in quell’appartamento, che fu della famiglia Duse tempo addietro, il “morbiolo” della ricerca. Ricordo ancora le avventurose salite alle “soffitte”, dove tra i tanti bauloni colmi di polvere ebbi la fortuna di trovarne uno della famiglia Duse. Tra la polvere e abiti consunti del tempo, vi trovai delle pagine di una bambina, che sarebbe divenuta una grande attrice. Un abbraccio. Marco

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  1. sono d’accordo anch’io con quanto hai scritto riguardo la situazione attuale, anch’io cerco di trasmettere la bellezza del paesaggio italiano, quella che si spera presto potremo tornare a riscoprire, e che per questo ci sembrerà ancora più bella.
    Molto interessante il tuo percorso d’immagini, Chioggia mi manca come fotografia, un giorno verrò a visitarla…. 😉

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  2. GRAZIE di questo post, è uno dei luoghi che ho in serbo per visitare….prima o poi non mancherò e dopo questa tua descrizione accurata e precisa non posso tardare molto…..

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  3. credo che sia uno tra i tuoi post più belli e interessanti. Chioggia la ricordo molti anni fa, erano gli anni settanta/ottanta quando abitavo a Padova. Mi ha sempre impressionato la sua caratteristica tra mare e terra. Di Sottomarina in quell’epoca non ricordo una grande impressione.
    Comunque si nota che ami la tua regione

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    • Come al solito non posso che ringraziarti per il tuo commento. Lo trovo sempre foriero di buone energie per me, anche questi tempi. Grazie, mi fa piacere ti sia piaciuto e, ti assicuro, che ti tengo. Di Sottomarina? Ricordo bene quegli anni, Sottomarina non era male. Si è vero non era attrezzata come le vicine località balneari, ma dal punto di vista musicale, per esempio, che dire di Piero Fidelfatti. Abbiamo trascorso intere estati sulle sue note. Infine, è vero, amo la mia regione, come tutte le altre, che, mia mamma nata a Brisbane, ne era profondamente innamorata. Alla prossima. Un abbraccio. Marco

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      • Il veneto lo ricordo sempre con piacere. Dieci anni passati lì non si possono dimenticare. E’ vero che amo la mia regione, Emilia Romagna, ma ricordo sempre anche le altre che in qualche modo sono entrate nella mia vita.

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  4. Ho sentito che i delfini sono tornati al lagund ora perché le barche non ci sono più. È vero? Se è così, forse è un rivestimento d’argento a una nuvola molto nera. Corragio!

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    • Non so dei delfini, ma posso testimoniare di cigni e anatre sui diversi canali veneziani, peraltro limpidi da vedere in alcuni tratti il fondo. Bella la metafora e la condivido. Un piccolo spiraglio di luce. Chissà se domani riusciremo a far coesistere il nuovi “residenti “ con il solito trantran veneziano. Grazie per il commento

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    • In effetti, la stagione invernale non è la più indicata per visitare la cittadina, per quanto il suo Corso del Popolo divenga un salotto tra i più caratteristici e popolati. Purtroppo, dato quanto sta avvenendo attorno a noi, dubito che la Sagra del Pesce potrà aprirsi, tuttavia anche con i mesi autunnali e primaverili la città offre panorami e scorci fantastici. Grazie per il commento

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  5. Pingback: Chioggia, una perla dell’Adriatico — VOCI DAI BORGHI | l'eta' della innocenza

  6. E pensare mio carissimo amico che non ci sono stata mai. Hai reso così interessante il tuo racconto” chioggiano” che però dovrò rimediare prima o poi a questa mancanza. Non so quando purtroppo ma metterò Chioggia nella lista dei luoghi da te raccontati con amore e passione caro Marco. Sei sempre completo nei tuoi post. E le foto a completamento sono sempre ad hoc. Bacioni, bacioni. Isabella

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  7. Complimenti. Chioggia è bellissima, se non fosse che i suoi abitanti non trattano la città e l’ambiente lagunare circostante col dovuto rispetto. Speriamo che la sensibilità attenta dei pochi rinsavisca quella dei molti.

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    • Grazie per il commento. Negli ultimi anni la consapevolezza e l’attenzione verso il proprio ambiente e la sua storia sono cresciute di molto nella popolazione, favorite anche da una notevole sensibilizzazione operata da più fronti, da quella culturale alla coscienza del singolare contesto geografico. Corre in questa direzione la levata di scudi contro l’impianto di stoccaggio di gas gpl, a pochi passi dal centro storico, che fornirà a breve l’intero nord Italia. Alla prossima, Marco

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  9. Chioggia la visitai molto tempo fa. Ci siamo ripromessi di tornarci, la città ha il suo fascino. Citi Vasto nell’introduzione…..io adoro quel posto e la spiaggia di punta Aderci….

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    • Da visitare senza dubbio. Proprio oggi c’è l’audizione davanti alla commissione giudicatrice per la partita di Capitale della Cultura 2024. Motivo c’è. Grazie ancora per i commenti. Ciao, Marco

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