Sara Copio Sulla. La voce del ghetto di Venezia seicentesca. I sonetti. VII, VIII, IX, X

VII.
Ben so che la beltà ch’al mondo piace
È fior caduco e di superbia abonda;
Ma de la spoglia fral che mi circonda,
Qual si sia, stima in me l’alma non face.

Per più nobil desìo mio cor si sface,
Baldassare, ond’ardita e sitibonda
Quel fonte cerco, onde stillar suol l’onda
Che rende ai nomi altrui fama verace.

Né cercar dee altro Fonte od altro Rio
Chi di lasciar immortalmente viva
La sua memoria al mondo ha pur desìo.

Ché s’a far l’alma in Ciel beata arriva
Onda, che bagni il volto o ‘l petto mio,
Di lacrime versar non sarò schiva.

Ben so che la beltà ch’al mondo piace, Manifesto di Sarra Copia Sulam hebrea … in Venetia, MDCXXI, Appressi Ioanni Alberti, p. 26

 

 

VIII.

 

O di vita mortal forma divina,
E dell’opre di Dio méta sublime,
In cui se stesso e ‘l suo potere esprime,
E di quanto ei creò ti fè Reina;

Mente che l’uomo informi, in cui confina
L’immortal col mortale, e tra le prime
Essenze hai sede, nel volar da l’ime
Parti là dove il Cielo a te s’inchina:

Stupido pur d’investigarti or cessi
Pensier che versa tra caduchi oggetti,
Che sol ti scopri allor ch’a Dio t’appressi.

E per far paghi qui gl’umani petti,
Basti saper che son gl’Angeli stessi
A custodirti e a servirti eletti.

O di vita mortal forma divina (Manifesto … cit., p. 27)

 

 

IX.
Amai, Zinan, qui il ben d’ogni ben mio,
Ma l’amo or più, che sta beato in Cielo,
Perché spogliato del terren suo velo
Fatt’è più bel ne la beltà di Dio.

E crescendo l’amor, cresce il desìo
Di gire a lui con più devoto zelo,
Chè dove non può entrar caldo né gelo,
Se speri tu d’entrar, no ‘l despero io.

E se tu aspiri a uscir di man di morte
Co’l favor de le Muse, io porre il piede
Con maggior forza ne l’eterna stanza.

Chè s’apre la virtù del Ciel le porte,
De le virtù d’Anselmo io fatta erede,
D’andarlo ivi a goder prendo speranza.

Amai, Zinan, qui il ben d’ogni ben mio, G. Zinano, Rime diverse, in Opere di poesia, Venezia, Deuchino, 1627, p. 47

 

X.

 

Quasi a coturno die’ materia in scena
Quella, onde pur ritorsi empia procella;
Quel domestico mostro, Idra novella,
Dai cui toschi campata spiro a pena.

La fé ch’ebbi in uom vile empia sirena
Fu, ch’affascinò l’alma: o cielo, e quella
Lingua, ch’estinta ravvivai: poté ella
Congiura ordir, di sì empi fili piena?
Ma s’in animo ingrato allor perisce
Che nasce il beneficio, non migliore
Frutto da simil pianta si deriva.

Serva donque il mio esempio a chi nodrisce
L’angue nel seno e ne lo snidi fuore
Pria che lo asperga di rabbia nociva.

Quasi a coturno diè materia in scena, Codice di Giulia Soliga, Fondo Cicogna del Museo Correr di Venezia, n. 270, c. 14r.

 

 

 

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