Sara Copio Sulla. La Voce del ghetto di Venezia seicentesca. I Sonetti. II – III

II.
Signor, pianto non merta il gran Lanfranco
Che s’ei, mentre già fu nell’uman velo
Illustrò d’opre il mondo, or gode in Cielo
Giunto al porto di gloria invitto e franco.

Se per calle d’onor già non mai stanco
Mostrossi in terra, ardor spregiando e gelo,
Or fiammeggia alma pura in puro zelo,
Converso in raggio rilucente e bianco.

Rivolgi gli occhi, Ansaldo, all’oriente,
E vedrai scintillar fiamma novella
Ond’è che sol de gli empi il cor pavente.

Del tuo fido german la luce è quella,
Che contra il Trace ancor cometa ardente
In ciel si mostra e minacciante stella.

Signor, pianto non merta il gran Lanfranco (A. Cebà, Lettere d’Ansaldo Cebà scritte a Sarra Copia e dedicate a Marc’Antonio Doria, Lett. X, 9 marzo 1619)

 

III.

Se mover a pietà Stige ed Averno
Poteo con mesto suon famosa lira,
La tua, Signor, ch’a maggior gloria aspira,
Può l’alme anco ritrar dal ciel superno.

Fermar veggio ogni sfera il moto eterno,
Ch’i grati accenti del tuo pianto ammira
Per l’estinto germano, ed ei sospira
Che tornar teme a soffrir caldo e verno.

Teme ch’al tuo languir pietoso il fato
Renda il suo spirto alle mortali spoglie
E ponga indugio al viver suo beato.

Deh! Frena il pianto e ‘l duol ch’in te s’accoglie:
Odi, ch’ei dice in sì felice stato
Che ‘l pianger tuo dal suo gioir lui toglie.

Se mover a pietà Stige ed Averno (A. Cebà, Lettere… cit., Lett. XVI, 31 agosto 1619).

 

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